Updated on Gennaio 18, 2023
23rd Young and Mediterranean Meeting : una riflessione personale
Alla fine di novembre, due dei mei compagni volontari (Ons e Andrea) e io abbiamo avuto l’opportunità di partecipare al 23rd Young and Mediterranean Meetings nella città francese di Nizza, come rappresentante del Progetto M.A.R.E. e della AMP (Area Marina Protetta) di Punta Campanella. L’evento stava organizzato dal CDMM (in italiano, Centro per la Scoperta del Mare e delle Montagne), un’associazione che ha come obiettivo principale quello di sensibilizzare i giovani all’ambiente attraverso l’educazione e varie attività all’aperto. Hanno organizzato quest’evento per riunire persone e organizzazioni con obiettivi simile provenienti da diversi paesi del Mare Mediterraneo, per provare identificare le sfidi attuale e le opportunità che si presentano nel campo dell’educazione ambientale. Quest’anno, l’incontro stava organizzato intorno alle teme Natura, il nostro futuro, servizi forniti dalla natura e dalla biomimetica.
Quando siamo arrivati al CDMM, verso il mezzogiorno dal 21 di novembre, dopo di 14 ore di viaggio, il giorno era già bellissimo. Sulla terrazza illuminata di fronte al sole, verso il mare, siamo stati accolti per Tom, uno degli organizzatori dell’evento, che stava sorpreso di vedere una Tunisina, una Croata e un Belga rappresentando Italia per l’incontro. Quando gli altri rappresentanti sono arrivati, tutti ci abbiamo presentati noi stesso e le nostre organizzazioni, e ci abbiamo conosciuti durante il pranzo. Subito, sono stato sorpreso della diversità del gruppo. C’erano un’insegnante di biologia spagnolo, due libici lavorando nei media, un rappresentante albanese che gestisce un’organizzazione per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, un rappresentante greco che gestisce un centro ambientale, il presidente di un’associazione tunisina di immersione e pesca subacquea, etc.
Dopo di averci conosciuti, sono iniziate le prime sessioni del pomeriggio che trattavano della Posidonia oceanica. Durante queste sessioni, abbiamo parlato del lavoro che facciamo, come AMP, per proteggere le praterie di P. oceanica. Andrea ha parlato del nostro lavoro nella Bahia di Ieranto, e io ho presentato brevemente il progetto MPA Engage attraverso il quale proviamo di valutare lo stato di conservazione (stato di salute delle praterie) di P. oceanica nella Bahia di Ieranto. Finalmente, gli abbiamo mostrato il Posidonarium che abbiamo preso come regalo per il CDMM. Il Posidonarium è uno strumento educativo che abbiamo creato utilizzando Posidonia asciugata per mostrare le diverse componente della pianta. Per me, questa esperienza è stata una bell’opportunità per migliorare le mie competenze in educazione all’oceano. Ho avuto una educazione academica tradizionale, quindi sono più abituato a parlare de biologia marina con altri biologi marini. Comunque, nella conferenza, c’erano tante persone che non avevano una formazione scientifica. Perciò, ho avuto bisogno di condividere lo stesso messaggio scientifico, ma utilizzando un linguaggio più convenzionale. Se non è stato facile farlo, era realmente una buona opportunità di apprendimento per me!
Dopo della nostra presentazione, i rappresentanti del CDMM ci hanno presentato un metodo che utilizzano per insegnare ai bambini la importanza delle “mate” de Posidonia, che sono strati spessi di piante morte che possiamo trovare sulle spiagge de tutte le coste del mare mediterraneo, e che proteggono le spiagge dell’erosione. Abbiamo preso quadrati che abbiamo mesi sul mate di Posidonia per prendere datti sulle caratteristiche fisiche e biologiche che potevamo identificare. Per me, he stato molto divertente, perché nel lavoro di ricerca, quello che mi piace di più è il lavoro sul campo, esplorando e scoprendo le caratteristiche dell’ambiente marino. Dopo de questa attività, ci hanno mostrato l’aula didattica principale del CDMM. Mi è piaciuto molto il modo in cui non si limitano a utilizzare gli aspetti biologici, ma anche quelli storici per promuovere la conservazione del paesaggio marino, parlando del suo ruolo nell’uomo preistorico. Tutte le informazioni erano disponibili anche in scrittura braille, un piccolo ma significativo dettaglio troppo spesso trascurato da chi non è ipovedente. Tuttavia, la cosa che ci ha colpito di più è stata l’esperienza VR che hanno offerto. Molte persone non hanno mai la possibilità di esplorare il mondo sottomarino e di familiarizzarsi con esso, vedendo l’oceano solo come una superficie riflettente e ondosa vista dalla terraferma. Grazie a questa nuova tecnologia, invece, chiunque può vedere cosa c’è sotto la superficie. Come l’immersione l’ha fatto per me, credo che questo ha il potenziale di creare un grande senso di curiosità per l’ambiente marino, aprendo le porte a una maggiore consapevolezza sulle attuali problematiche ambientali.
Dopo una buona notte di sonno e un’ottima colazione, è iniziata la seconda e principale giornata degli Incontri. Come indicato nel tema, questa giornata è stata incentrata sulla biomimetica. Al mattino abbiamo assistito alla conferenza sulla biomimetica tenuta dall’Istituto di Biomimetica del Mediterraneo (IBMED) e da alcuni specialisti. La biomimetica si riferisce all’imitazione dei modelli, dei sistemi e degli elementi della natura allo scopo di risolvere problemi umani complessi, e durante la mattinata ci sono stati mostrati innumerevoli esempi. Tra i più memorabili, un boiler che si ispira alla compartimentazione e alla regolazione della pressione dei gusci dei Nautilus e alla termodinamica dei termitai, l’utilizzo di molecole ispirate agli enzimi per creare H2 altamente reattivo con lo scopo di risparmiare energia rinnovabile e un tipo di calcestruzzo (ECOncrete) ispirato alle strutture delle comunità intertidali indigene per prevenire la proliferazione di specie invasive nei porti e nelle loro vicinanze. Sono stato molto sorpreso dalla grande varietà di innovazioni ispirate dalla natura, e mi ha fatto pensare a come questo argomento potesse servire come strumento di educazione ambientale. Durante la sessione di brain-storming che abbiamo tenuto in seguito, ho ricordato una domanda che mi è stata posta spesso nel corso dei miei studi di biologia: “Qual è il valore della scoperta di nuove specie?”, rendendomi conto che avevo parte della risposta proprio davanti a me.
Più ci pensavo, più vedevo il concetto di biomimetica come uno strumento molto utile per cambiare la prospettiva delle persone nei confronti della natura. Credo che molti di noi, cresciuti in una società capitalista che dipende dalla crescita economica infinita, vedano la natura come qualcosa da sfruttare, al servizio dell’uomo. Tuttavia, questi numerosi esempi di innovazioni basate sulla natura ci dimostrano che guardando alla natura e alle soluzioni che essa ha escogitato per sostenere la grande varietà della vita, potremmo potenzialmente risolvere alcune delle maggiori minacce che la società di oggi si trova ad affrontare. Quindi, parlando delle lezioni che possiamo trarre da la natura, piuttosto che di ciò che possiamo sfruttare da essa, la nostra prospettiva nei confronti della natura potrebbe passare da risorsa a mentore, aprendo la porta alla nostra civiltà per prosperare in armonia con il mondo naturale che ci circonda.
Le intuizioni che ho condiviso con voi qui hanno reso le 28 ore di viaggio assolutamente valide e non vedo l’ora di vedere come reagiranno le persone quando in futuro cercheremo di integrare questo argomento nei nostri progetti di educazione oceanica. Alla prossima volta, Nizza!
Yens Vandenboer
Posted on Dicembre 16, 2022
Da volontaria a ricercatrice
Buongiorno!
Dopo vari mesi in cui mi sono impegnata come volontaria in Italia, mi piacerebbe condividere in questo articolo la mia esperienza personale e le conoscenza che ho ottenuto attraverso il progetto M.A.R.E.
Nel progetto M.A.R.E., parte del lavoro è dato in funzione delle tue abilità e conoscenze. Quindi oltre partecipare nelle attività principali, ho avuto l’opportunità di gestire un paio di piccoli progetti di ricerca scientifica nella baia di Ieranto. Questa esperienza mi ha permesso di essere in contatto con la mia passione, mentre raccoglievo delle conoscenze e delle abilità utili per il mio futuro professionale.
La baia di Ieranto è una delle zone conservate in miglior modo di tutta l’AMP Punta Campanella grazie alla presenza dei volontari del progetto M.A.R.E. e degli operatori del parco. Si può accedere alla zona sia via terra che via mare. In quest’ultimo caso l’accesso è limitato: a parte di poche eccezioni, la navigazione a motore non è autorizzata, e l’ancoraggio è assolutamente vietato. Queste restrizioni permettono di ridurre l’impatto umano sulla baia e di proteggere i suoi ecosistemi e la sua biodiversità.
Il primo progetto che ho coordinato insieme ad Andrea Ivančić (collega volontaria dalla Croazia) è stato il campionamento della comunità di alghe e il sviluppo successivo di un erbario marino della baia. Questo progetto è nato con lo scopo di aggiornare nostra collezione e migliorare nostra conoscenza sulle specie presenti nella baia. Per realizza questo progetto abbiamo seguito due fasi: la prima è stata il campionamento con snorkeling, poi l’identificazione degli esemplari campionati. La seconda fase è stata la pressatura e l’essiccazione delle alghe, effettuata con una pressa fatta di legno, tessuto di cottone e di carta di giornale. Questo servizio ha migliorato significativamente la mia capacità per riconoscere diverse specie di alghe e mi ha permesso di fare attenzione agli richiesti di logistica, dato che sono stata la responsabile dell’organizzazione del materiale necessario per portare il progetto avanti.
Il secondo progetto che ho gestito con Mimì Sgambatti (coordinatore del progetto M.A.R.E) è un censimento visuale dei pesci, utilizzando il protocollo MPA Engage. MPA Engage è un progetto coordinato dal Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (CSIC) che propone 11 protocolli per valutare l’impatto del cambiamento climatico in aree marine protette. I protocolli permettono alle AMP del Mediterraneo di valutare l’impatto del cambiamento climatico nel area protetta attraverso il monitoraggio dei diversi componenti del ambiente (come la temperatura, la Posidonia e i pesci) e anche raccogliendo conoscenze ecologiche locali grazie a delle interviste con subacquei e pescatori esperti.
I vari protocolli sono stati distribuiti tra i volontari interessati nel nostro progetto, ognuno coordina uno o due, mentre ci aiutiamo tra di noi per la raccolta dei dati. Per l’AMP Punta Campanella, è stato il primo anno di partecipazione nel programma del MPA Engage, ma vorremmo supervisionare l’implementazione di questi protocolli ogni anno, per i futuri volontari, per poter raccogliere dati con l’obiettivo di capire come reagisce la baia di Ieranto al cambiamento climatico. Questo progetto è stato fruttuoso perché mi ha fatto acquisire esperienza nell’implementazione dei protocolli di ricerca, migliorando la mia capacità di fare immersioni scientifiche e di campionare.
Entrambe esperienze mi hanno fatto crescere, per migliorare competenze utili nel mio ambito professionale, accumulando conoscenza e fiducia in me stessa, mentre ho imparato a lavorare in squadra.
— Claudia Gaspar García
Updated on Dicembre 15, 2022
Le sentinelle di pietra del parco marino
Ecco un piccolo articolo culturale a proposito delle torri di avvistamento nella penisola, basato sulla conferenza “Le Sentinelle di pietra – le Torri di Guardia e di Difesa della Costiera di Amalfi e di Sorrento” organizzata dall’Archeoclub di Massa Lubrense il 30 settembre 2022. C’erano gli interventi di Stefano Rucco (presidente dell’Archeoclub), Salvatore Ferraro (accademico), Giovanni Visetti (cartografo) e Don Mario (ospitante l’evento). Quest’evento è stato l’occasione di saperne di più sulla ricchezza patrimoniale e storica del posto, con i suoi edifici emblematici che sono le torri sparpagliate sulle costiere amalfitana e sorrentina. È stato anche l’occasione di rendere un omaggio all’autore del libro più documentato su questo soggetto¹: Romolo Ercolino, storico di Positano, Massese adottivo che faceva scoprire la storia locale ai ragazzi di Massa, per diffondere le sue conoscenze, non solo con i suoi numerosi libri.
In questo articolo, quello che vorrei mettere a fuoco è la storia e l’esistenza delle torri sulle coste del parco. Tra le 46 studiate nel libro (da Castellammare fino a Vietri sul mare), le torri di cui trattiamo sono 13.
Storia delle torri di avvistamento
Per iniziare, presentiamo un po’ il contesto della creazione delle torri. La costruzione di queste torri è iniziata nel medioevo con lo scopo di avvistare e difendere le coste dalle incursioni dei saraceni (venendo dall’Algeria, dalla Tunisia) o anche di turchi e equipaggi barbareschi. Quando una minaccia era individuata, la guardia della prima torre a vederla, accendeva un fuoco di giorno come di notte, per segnalare col fumo (di giorno) e con la fiamma (di notte) l’emergenza. Questo segnale era trasmesso da una torre all’altra con la vigilanza delle guardie che vedevano il segnale su una delle due torri intorno, poi ripetendo il segnale per trasmetterlo alla torre successiva. Questo permetteva di formare una catena d’informazione ed allertare le popolazioni.
Per quanto riguarda alla tipologia delle torri, sono state costruite e modificate durante vari periodi, dal medioevo in poi, seguendo i cambi di potere nella regione:
- le torri rotonde, così dette “angioine”, datano del ~1200′-1400′
- le torri quadrate, così dette “aragonesi”, datano del ~1500′
- le torri con restauri ulteriori del periodo borbonico, nel ~1700′-1800′
Secondo Salvatore Ferraro, le torri non hanno raggiunto loro scopo perché non sono riuscite a difendere il commercio (di grano) e neanche a proteggere delle rapine. Infatti, il 13 giugno 1558 è successo il saccheggio di Sorrento durante la festa di Sant’Antonio. Si racconta che la popolazione dormiva, con la versione popolare come “pia scusa del traditore che ha aperto le porte” secondo Ferraro, le cronache spiegando il fatto di una popolazione dormiente. Tutta la penisola è stata colpita, malgrado l’esistenza delle torri, una grande parte dei suoi abitanti scappò fin sul Monte Faito.
Perciò, gli abitanti si sono basati in altezza sulla costiera amalfitana, per poter scappare e difendersi meglio.
È importante anche di sapere che la difesa delle coste meridionali era una difesa delegata alle città dal potere centrale spagnolo, durante il periodo aragonese, per esempio. Infatti, ogni torre era armata e difesa dagli abitanti vicino alla torre.
Poi, le torri sono state curate fino alla caduta dei Borboni e l’Unità d’Italia. Durante l’era borbonica erano curate dagli enti pubblici, dai comuni – che non le mantenevano bene, com’è stato il caso a Punta Campanella – dato anche del fatto che la manutenzione di queste torri era molto costosa per i comuni.
Riguardo all’influenza delle torri nell’arte, molti viaggiatori, pittori, artisti ospitati nella regione, sono stati ispirati attraverso i secoli, come il ballerino Nureyev che ha creato il suo rifugio artistico nella torre dei Galli.
Inoltre, durante la lunga storia delle torri, alcuni ebrei furono nascosti nelle torri durante la seconda guerra mondiale, c’è una storia locale che tratta di un autoctono col fischietto che segnalava l’arrivo dei controlli della prefettura, così potevano scappare.
Le torri dell’AMP di Punta Campanella, dal Capo Germano fino a Capo di Sorrento:
- Li Galli: torre molto importante per fare il legame tra la costa ripita dove non c’era una torre o abitanti e le altre torri intorno.
- Sant’Elia
- Crapolla (o di San Pietro ad Capona)
- Recommone
- Marina del Cantone
- Montalto (o della Mortella)
- Minerva (Punta Campanella): la sua prima versione è stata costruita nel 1200′, e la sua forma successiva nel 1500′. Prima, al suo posto, si trovava un tempio dedicato alla dea Minerva.
- Fossa di Papa
- Vaccola (Punta Baccoli)
- San Lorenzo
- Capo Corbo (Capo Corvo)
- Capo di Massa (o di Vilazzano)
- Capo di Sorrento: torre scomparsa.
Per concludere, come sottolinea Ferraro, bisogna fare di queste torri un museo all’aperto perché si tratta di un’opera importantissima. Don Mario durante la conferenza ha aggiunto che è fondamentale far capire la ricchezza della cultura e l’importanza della sua conservazione ai ragazzi e ai giovani.
Il territorio di Massa è tanto ricco di patrimonio culturale e storico, c’è bisogno di sensibilizzare a proposito di questo ma anche di conservarlo.
¹ Per saperne di più, raccomando la lettura di ERCOLINO, Romolo, Sentinelle di pietra – le Torri di Guardia e di Difesa della Costiera di Amalfi e di Sorrento, Nicola Longobardi Editore, Castellammare di Stabia, 2022.
— Paul Descoeur
Updated on Dicembre 8, 2022
Stato d’animo di Ieranto : una storia personale
Tutte le persone che sono passate attraverso questo progetto, più o meno, condivideranno pensieri, ricordi e momenti simili di Ieranto. È un luogo che attira tutti, compreso il nostro gruppo e me, naturalmente, e per questo ho voluto condividere la mia esperienza e i miei ricordi estivi. Penso che potrebbe essere molto divertente, non solo per chi vuole partecipare a questo progetto, ma anche per chi si chiede cosa facciamo tutti i giorni su questi kayak, durante tutta l’estate sotto il caldo, e perché ci piace così tanto.
Credo che tutto sia iniziato quando abbiamo visto Ieranto per la prima volta. Non eravamo ancora tutti insieme, ma questo ha dato a quelli che c’erano un’idea di quello che stava per succedere. Era una bella giornata di primavera (soleggiata e fresca) e stavamo facendo un’escursione verso San Costanzo, la chiesa che si trova proprio sopra Ieranto, uno dei punti più alti della zona. E poi l’abbiamo visto. Era lì, proprio sotto di noi, con le ali aperte, il falco della baia. Il nome Ieranto ha radici greche: può derivare sia dalla parola ιέραξ, che significa “falco”, sia dalla parola ιερό, che significa “sacro”. In quel momento, sul sentiero, ho capito perfettamente che entrambe queste etimologie potevano essere ugualmente vere. Guardando Ieranto da lì si può vedere la forma di un falco che viaggia intorno, e anche la bellezza di questo luogo, che lo rende una sorta di terreno sacro.
Finalmente, dopo settimane di ritardo, siamo riusciti a iniziare le nostre attività nella baia a metà giugno. Questa volta la squadra era quasi al completo (mancava solo Olivier). Ci siamo incontrati tutti nella piazza di Nerano, il piccolo paese che si trova esattamente prima del sentiero che ci porta a Ieranto. Ci siamo seduti intorno alla mappa della zona e ci siamo scambiati alcune informazioni di base su dove ci trovavamo e su ciò che stavamo per vedere. L’adrenalina cominciava a salire. Stavamo per conoscere il luogo in cui avremmo trascorso il resto dell’estate! Ricordo di aver guardato le facce di tutti: alcune erano nervose, altre entusiaste come me e altre ancora perse in pensieri ad occhi aperti.
Andavamo a Ieranto in squadre: alcuni via terra e altri via mare con i kayak di Marina del Cantone. Io ero nella squadra dei kayak! Quando siamo riusciti a portare fuori tutta l’attrezzatura necessaria (pagaie, giubbotti di sicurezza, kayak, borse waterproof per le nostre cose) e a prepararci (costume da bagno, cappello, occhiali da sole, maglietta ed acqua), sono iniziate le istruzioni di Mimì (il nostro coordinatore). Come si siede sul kayak, come si tengono le pagaie, come si naviga in mare? Informazioni, informazioni, informazioni. È interessante come tutte queste informazioni che ci sono state date in quel momento, senza che ce ne rendessimo conto, si siano poi impresse nel nostro cervello grazie all’esperienza. Abbiamo fatto il primo viaggio in kayak più bello che si potesse desiderare. Pagaiando in mare, visitando grotte, pulendo un po’ qua e là, evitando le onde e magari indolenzendoci un po’. I nostri muscoli non erano ancora allenati per sopportare il viaggio di 40 minuti fino a Ieranto, ma questo non ha reso l’esperienza meno entusiasmante di quanto sia stata.
Quando sono entrata nella baia, ricordo il vento che mi soffiava in faccia e l’acqua che mi circondava che mi portava verso la piattaforma. Ricordo di aver fatto una vera e propria faccia di “wow” e l’adrenalina che saliva per la seconda volta quel giorno. Osservare la piccola spiaggia, le scale che portavano agli edifici che facevano parte del complesso della cava che per anni è stata a Ieranto, la piattaforma di pietra, la spiaggia più grande con grotte su entrambi i lati, le scogliere che circondano tutta la baia che ti inghiottono e ti fanno rimanere i piedi a terra, la natura che mi circonda… La parte più bella di tutto questo è che siamo arrivati prima via mare. Ci siamo goduti tutta la bellezza, osservando ciò che avevamo visto prima dall’alto verso il basso, esattamente dalla parte opposta, verso l’alto. Ripensandoci, è una sensazione molto strana quella che si prova quando si vede o si percepisce un luogo per la prima volta. È sempre unico e puro, una tabula rasa. Non c’è nessun ricordo che lo circonda, nessun ricordo di tempi precedenti, nessuna idea di come sia realmente. Non c’è nulla che possa rovinarlo. Provate a immaginare la prima volta che camminate/guidate/andate in bicicletta in una strada che poi iniziate a percorrere più volte… Tutto è vivo, colorato, emozionante e sonoro. La tua curiosità assorbe tutti i dettagli, senza forse elaborarli. Sono solo stimoli su cui il cervello si sofferma ed elabora, quando finalmente si capisce come funziona un luogo. Di solito questa magia si perde man mano che ci si abitua, ma fortunatamente non è questo il caso di Ieranto.
Abbiamo esplorato tutte le grotte, siamo andati alla grande spiaggia, abbiamo nuotato, ci siamo tuffati dalla piattaforma, abbiamo fatto snorkeling, abbiamo respirato tutto… Abbiamo parlato delle nostre responsabilità lì e di come sarebbe stata l’estate. Tutti noi ascoltavamo, ma nessuno di noi capiva esattamente. Descrivere la realtà in Ieranto non è una cosa facile. La giornata è servita come primo allenamento per noi, un allenamento per tutte le attività che stavano per iniziare, oltre che come primo incontro con la nostra “casa” per il resto dell’estate.
Il percorso per raggiungere Ieranto da terra è altrettanto emozionante: da Nerano parte un sentiero escursionistico che porta alla baia lungo 30 minuti. Può essere impegnativo in alcuni punti, soprattutto durante la risalita, ma se ci metti un po’ di tempo, ti assicuro che imparerai a godertelo. Il sentiero è circondato dalla natura e dalla costante presenza del mare all’orizzonte. Panorami bellissimi qua e là e, dopo un certo punto, hai Capri davanti a te. Sembra di poter toccarla, tanto è vicina. Quando si arriva a quel punto si sa che si sta arrivando alla baia o, se si sta tornando indietro, che la parte ripida sta per finire. E sai anche che è arrivato il momento del caffè di Salvatore, il più buono che tu abbia mai assaggiato, con una vista perfetta e la migliore compagnia. Ho sempre apprezzato questi momenti e credo che pure gli altri gli hanno apprezzati. Sono momenti di calma e di riposo, in un periodo in cui non ci sono molti.
Le nostre attività a Ieranto sono state per lo più le stesse ogni giorno, pur avendo naturalmente qualche sorpresa lungo il percorso. Quello che facciamo di solito dopo l’arrivo è: prendere i kayak necessari, le tabelle impermeabili per conservare i dati, sistemare un punto informativo in cui lavoriamo insieme al FAI (che possiede e gestisce la baia di Ieranto –a terra– durante tutto l’anno), preparare le possibili escursioni durante la giornata e organizzare i nostri turni sia per il monitoraggio via terra che per quello via mare. Questo tipo di routine è stato stabilito dall’inizio e ogni volta, a seconda della coppia che lavorava, regolavamo i turni di conseguenza.
Poiché Ieranto fa parte della Zona B dell’Area Marina Protetta di Punta Campanella, è necessario impedire alle imbarcazioni a motore non autorizzate di entrare e soprattutto di ancorare nelle sue acque. Questo è la parte del monitoraggio a mare con i kayak. Ieranto è caratterizzata dalla presenza di praterie di Posidonia oceanica, una fanerogama molto importante per il bacino del Mediterraneo, che fornisce ossigeno e aumenta la biodiversità del mare. Il processo di avvicinamento alle barche è sempre un’esperienza. Ognuno di noi ha il proprio modo di spiegare loro perché non possono restare qui o di chiedere loro alcune informazioni di base, quello che rende tutto molto interessante. Si capiscono le diverse personalità di ognuno e i modi di interagire. Naturalmente ci sono stati casi in cui abbiamo remato dietro alle barche, nei nostri piccoli kayak gialli, salutando e facendo segni per evitare che facessero il peggio: gettare l’ancora e distruggere le praterie. Non tutte le persone sulle barche non autorizzate accettavano il fatto di non poter stare nella baia, ma molte di loro erano interessate a ciò che dicevamo e capivano quanto sia importante che Ieranto sia preservato e protetto. Sono entrate anche barche autorizzate, che hanno usato le boe per rimanere un po’ sulla baia e godersi la sua magnificenza. Queste barche erano piene di facce famigliari, accompagnate da gruppi di turisti. Dopo un po’ abbiamo imparato a riconoscere da lontano le barche autorizzate e tutti avevamo le nostre preferite, quelle con cui preferivamo interagire di più. Anche con loro abbiamo dovuto tenere dei dati per essere sicuri di essere consapevoli del loro utilizzo della baia.
La parte successiva delle attività è stata quella delle escursioni. Gruppi di turisti che visitavano Ieranto e volevano conoscerla meglio. Potevano fare una visita guidata con i kayak o un’immersione guidata con lo snorkeling, o entrambe. Alcuni gruppi erano più numerosi di altri, alcuni più motivati, altri più interessati, ma tutti condividevano l’entusiasmo di esplorare Ieranto. Dopo un certo punto abbiamo anche avuto la possibilità di fare delle visite guidate e di fornire tutte le informazioni che avevamo raccolte durante la nostra esperienza lì. Parlare della storia della baia, delle specie animali che ne caratterizzano alcune parti, degli elementi naturali che la definiscono e condividere con loro l’amore che abbiamo per questo luogo. Ci sono stati giorni in cui è stato necessario l’intervento di tutta la squadra, poiché abbiamo avuto grandi gruppi di persone in visita a causa di eventi speciali. Ogni giorno c’erano di solito solo 2-3 volontari, con una responsabile (Gianna o Alba), e i lavoratori del FAI. In quei giorni potevamo essere almeno in 10 a lavorare contemporaneamente, rendendo la situazione piuttosto stressante e caotica. Soprattutto le prime settimane, in cui non avevamo molta esperienza con gruppi numerosi, hanno fatto emergere alcuni problemi di organizzazione. Alla fine, però, è stato sorprendente il modo in cui siamo riusciti a evolverci, come tutto funzionava come una macchina ben oliata, come tutti sapevano esattamente cosa si doveva fare, come tutti aiutavano in tutto senza nemmeno rendersene conto, come ci adattavamo simultaneamente quando qualcosa non andava secondo i piani.
Eravamo costantemente circondati da tutte le persone del FAI, che ci assistevano e fornivano informazioni insieme a noi a tutte le persone che entravano nella baia, rendendole consapevoli della bellezza e della storia del luogo che stavano per vedere, oltre a sensibilizzarle sulla sua necessità di essere protetto e rispettato. Ho tanti bei ricordi di discussioni con i visitatori, sia via terra che via mare. È stato anche commovente scoprire che le persone condividevano l’apprezzamento che abbiamo per questo luogo e rispettavano il lavoro che stavamo facendo. Credo che tutti noi ricordiamo momenti divertenti con visitatori appassionati.
E poi c’è la parte del ritorno a casa dopo una lunghissima giornata al mare. I due piedi che ti hanno portato giù, ti portano su. Con il caldo e la stanchezza che a volte ti danno fastidio, ma per lo più non ti danno fastidio. Perché c’è la sosta caffè, come ho già detto, e poi si arriva a Nerano dove si rilassa e si gode un po’ della vita del posto, giocando al calcio con i bambini o bevendo un piccolo aperitivo. Si ride, si parla dei momenti più belli della giornata e si ringrazia il proprio corpo per la fatica fatta. Poi si torna a casa dalla “famiglia” dei volontari, si mangia insieme, si gode la notte d’estate e si recupera il ritardo. Alla fine dell’estate si vivono tante giornate simili ma uniche allo stesso tempo e si chiede come sia stato possibile per me sopportare un’estate come questa con tanta facilità. Questa domanda me la pongo ancora. Non mi sarei mai aspettata che il mio corpo e la mia volontà diventassero così forti. È così interessante vedere l’evoluzione mentale e fisica che abbiamo avuto tutti durante questi mesi.
Anche a novembre, quando siamo andati a fare le ultime cose che dovevano essere fatte, Ieranto non aveva perso il suo carattere. Ho potuto nuotare nelle sue acque un’ultima volta, insieme a un uccello marino che stava pescando a pochi metri da me. Perché è questo che si ottiene quando ci sta lì: un equilibrio tra uomo e natura. Abbiamo visto razze, banchi di barracuda, stelle marine più grandi dei nostri palmi e tante altre cose che di solito si dimenticano quanto possano essere impressionanti. La natura è parte di noi e Ieranto continua a ricordarcelo.
Credo che la parte più bella di Ieranto sia nascosta in due punti diversi. Vorrei sapere se altri condividono la mia stessa opinione, ma in realtà questa è la parte più soggettiva di questa voce. La prima parte è il legame che è riuscito a creare tra tante persone diverse e questo è avvenuto soprattutto grazie al Progetto M.A.R.E. Il fatto di portare ogni anno dei volontari a lavorare crea una catena di persone che amano un luogo molto specifico. Ma non sono solo i volontari e le persone che gestiscono il Progetto a far parte di questa catena. Sono gli abitanti del luogo, le persone del FAI che ci hanno appoggiato costantemente, i visitatori, ogni gruppo che è passato per una visita guidata, tutti quelli con cui abbiamo parlato su queste barche. Questa catena è ciò che rende Ieranto così speciale. È un luogo in cui si percepisce l’energia positiva e amorevole di una comunità.
La seconda parte che per me definiva i miei sentimenti per Ieranto è l’esperienza di essere da solo in un kayak in mezzo al mare. Non so se riesco a spiegarlo alle persone. È una sensazione di umiltà. Sei lì, circondato dal blu, da rocce che cambiano forma ogni ora del giorno, dalla natura. Si vive nel presente. Non c’è nulla prima o dopo quel momento, perché in quel momento sei lì. Aspettando una barca, facendo un’immersione per rinfrescarsi, facendo un piccolo giro con il kayak qua e là. Ma siete sempre lì. Sei tu, i tuoi pensieri e la pagaia. Puoi accettarlo e godertelo o sopportarlo. Io ho scelto la prima e la consiglio a tutti i futuri volontari.
Se vi capita di visitare Ieranto, ricordatevi sempre che ci siamo stati anche noi. Che ogni luogo ha una storia condivisa e che anche i vostri ricordi di quel luogo riemaneranno lì, rendendo Ieranto ancora più prezioso. Perché i ricordi sono preziosi e di valore. Ricordate che probabilmente abbiamo una storia da raccontare e chiedete a tutte le persone che amano Ieranto perché lo adorano così tanto. Sono sicura che vi renderete conto che tutti questi sentimenti inespressi sono in qualche modo simili tra loro.
Xenia Symeonidou
Updated on Dicembre 6, 2022
Fioritura della Posidonia : un evento pieno di speranza
La Posidonia oceanica è una specie endemica del Mar Mediterraneo. Questa fanerogama di grandi dimensioni e a crescita lenta si sviluppa su rocce e fondali sabbiosi in acque pulite, dalla superficie a oltre 40 metri di profondità (Hemminga e Duarte 2000). La posidonia costituisce formazioni caratteristiche chiamate “praterie di posidonia” o “letti di posidonia” che sono habitat molto importanti nell’ecosistema marino. Queste estese praterie forniscono habitat e nutrimento a molte specie di pesci, crostacei, molluschi, briozoi ed a molte specie di piante. Le foglie della Posidonia riducono la velocità della corrente proteggendo la spiaggia dall’erosione e le praterie producono anche grandi quantità di ossigeno attraverso la fotosintesi, contribuendo all’assorbimento delle emissioni di CO2 grazie alla sua elevata capacità di fissazione del carbonio. Per la sua importanza, le praterie di posidonia costituiscono un habitat protetto dalla legge europea (Habitat prioritario nella Direttiva ‘Habitat’ 92/43/CEE). Purtroppo, negli ultimi decenni le praterie di posidonia stanno subendo una regressione, soprattutto a causa della pesca a strascico e dell’ancoraggio, due attività che causano gravi danni alle praterie.
La Posidonia si propaga principalmente attraverso la riproduzione vegetativa tramite l’allungamento dei rizomi e le talee. Tuttavia, la Posidonia può anche riprodursi per via sessuale, il che aumenta la ricombinazione genomica, favorendo l’adattamento e aumentando la resilienza della specie ai cambiamenti ambientali. Possiamo quindi affermare che la Posidonia può fiorire anche sotto il mare, evento che si verifica di rado, in autunno, ogni cinque-dieci anni. I fiori sono ermafroditi, cioè maschi e femmine allo stesso tempo. I frutti richiedono dai 6 ai 9 mesi per maturare. Tra maggio e luglio si staccano e galleggiano per un po’, per poi finire sulle spiagge.
L’anno scorso il progetto M.A.R.E. ha partecipato a un’indagine per raccogliere informazioni e campioni di Posidonia per conto del Ministero della Transizione Ecologica italiano. L’indagine è stata condotta nell’Area Marina Protetta Regno di Nettuno, che comprende le isole di Ischia, Procida e Vivara. Durante lo svolgimento di questa attività, a fine ottobre e novembre, abbiamo osservato un grande evento di fioritura che si stava verificando non solo nel Regno di Nettuno ma anche a Punta Campanella, come abbiamo scoperto in seguito. Le misurazioni effettuate nel Regno di Nettuno indicavano un’alta densità di fiori: abbiamo trovato da 10 a 30 fiori di Posidonia in quadratini di 40 cm x 40 cm. Questa abbondanza di fiori ha avuto come conseguenza una grande produzione di semi, che sono finiti sulle spiagge in grandi quantità, e questo è ciò che osserveremo prossima primavera nel litorale campano. Vi invitiamo ad aprire gli occhi durante le vostre passeggiate in spiaggia per osservare questo insolito fenomeno. Sulla spiaggia si trovano i frutti della Posidonia, le cosiddette “olive di mare”.
Ma perché questo accade? Studi sulla Posidonia marina suggeriscono che la fioritura è principalmente legata alle alte temperature e, in effetti, Ruiz et al. (2018) hanno scoperto in uno studio sperimentale che l’esposizione al calore può servire come innesco primario della fioritura nella Posidonia. Normalmente, le temperature molto elevate stressano la Posidonia, inibendone la crescita. Pertanto, per una pianta sessile, la produzione di semi è la migliore strategia di fuga per superare le condizioni di stress. È probabile che fattori diversi dalla temperatura ambientale, tra cui fattori genetici, fisiologici e legati all’età, siano coinvolti nel determinare della fioritura. Nonostante non tutti i fattori che influenzano questo fenomeno siano ben compresi, la fioritura della Posidonia sembra essere una strategia di speranza nel contesto del riscaldamento globale. C’è un notevole spazio per l’ottimismo, poiché sembra che la nostra stimata fanerogame possano rispondere all’aumento della temperatura in modi più plastici, più complessi e potenzialmente più resilienti di quanto immaginato in precedenza. Nonostante non siano state pubblicate prove scientifiche di questo evento straordinario avvenuto lo scorso anno, esperti come Gabriele Procaccini della Stazione Zoologica Anton Dohrn (Napoli) hanno confermato che l’abbondanza di fiori è qualcosa che non si era mai visto in quest’area. Se siete interessati a saperne di più su Posidonia e su questo straordinario evento, vi invitiamo a guardare il seminario “Le Praterie sommerse del Mediterraneo” della Stazione Zoologica Anton Dohrn.
Claudia Gaspar García
Bibliografia
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https://www.cambridge.org/core/books/seagrass-ecology/53A7465F196885C57CF1977DF226C77D
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Luque, Á. A., & Templado, J. (2004). Praderas y bosques marinos de Andalucía. Junta de Andalucía, Sevilla.
https://uicnmed.org/bibliotecavirtualposidonia/wp-content/uploads/2014/12/Praderas-y-bosques-marinos-de-Andalucia_Praderas-marinasF_Intro-y-Posidonia-oceanica_Part1.pdf
Ruiz, J. M., Marín-Guirao, L., García-Muñoz, R., Ramos-Segura, A., Bernardeau-Esteller, J., Pérez, M., Sanmartí, N.,Ontoria, Y., Romero, J., Arthur, R., Alcoverro, T. & Procaccini, G. (2018). Experimental evidence of warming-induced flowering in the Mediterranean seagrass Posidonia oceanica. Marine pollution bulletin, 134, 49-54.
https://www.szn.it/images/pubblicazioni/97._Ruiz_et_al_2017.pdf
Procaccini, G. (2022, June 9). Le Praterie sommerse del Mediterraneo [Video file]. Stazione Zoologica Anton Dohrn, Napoli. Retrieved from
https://www.youtube.com/watch?v=KhEXIdFlnJQ